Carl: la speranza nel fallimento

Carl: la speranza nel fallimento

Oggi sono a Roma, in questo inizio di marzo, nonostante il sole fa piuttosto freddo. Camminando a piedi lo si avverte. Prima di entrare in un bar vedo ad un incrocio un uomo, che con dignità è fermo guarda in avanti, ma non segue i passanti, non li valuta né li giudica.  Ai suoi piedi c’è un cartello con su scritto: “Ho due bambine, la mia azienda è fallita, grazie per il vostro aiuto”.

Non è la prima volta che mi capita di vedere cartelli del genere e quello che mi colpisce sempre è la dignità di queste persone. Spesso si immagina si tratti di persone angosciate e preoccupate, forse perchè proiettiamo noi stessi in quella situazione, il dolore che ci provocherebbe l’incontro con il fallimento e con un paese che non è in grado di cogliere, accogliere e aiutare chi è in difficoltà.

Mi capita sempre di avere curiosità di conoscere le storie personali che si celano dietro a quei cartelli e a quei volti, ma mi ritraggo: questa volta però agisco fuori dai miei schemi abituali e abitudinari e così lo invito a prendere un caffè insieme e parliamo un po’.

Si chiama Carl, non è italiano, ma da venti anni vive in Italia, a Taranto, o perlomeno è lì che vivono sua moglie e le sue due figlie, lui da tanti anni gira il centro e si sposta dove può trovare dei lavori. Ora è qui a Roma, la grande città genera comunque ‘lavoretti’ da poter svolgere. Mi racconta, con serenità, la sua storia degli ultimi 2-3 anni.

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È un falegname e fino a poco fa aveva un’azienda con 12 operai e mi dice con orgoglio che dava da vivere a 5 famiglie. Nel giro di pochissimo tempo, i lavori sono iniziati a diminuire:  il lavoro in nero ha iniziato sottrargli proventi – non si poteva riuscire a stare al passo dei prezzi stracciati di questo tipo di concorrenza – e la richiesta di lavori delle persone normali – la classe media – sono diminuiti fino a scomparire. A questo si sono aggiunti i crediti mai incassati (lavori eseguiti e pagati con assegni post-datati che alla fine non sono mai stati riscossi) e i ‘disturbi’, allo stomaco e forti mal di testa. Ora però dal punto di vista fisico sta meglio.

Le ha provate tutte, ha voluto credere che la crisi sarebbe finita, si è raccontato che la sua professionalità ed esperienza sarebbero state sufficienti per riprendersi. Ha tentato di far intervenire in qualche modo la stampa, per dare un maggior risalto alla sua situazione e a quella di tanti altri.

Ma ha dovuto chiudere tutto. “Ora ho 50 anni e, nonostante la mia esperienza, nessuno mi prende a lavorare”.

Mi racconta che la moglie è giù a Taranto e fa dei piccoli lavoretti per non far mancare il necessario alle figlie. Per fortuna, mi dice, quando le cose andavano meglio mia moglie ha insistito per acquistare una casa e per intestarla a suo nome, “altrimenti oggi saremmo a dormire sotto i ponti”.

Di Carl mi ha colpito la grande dignità con la quale affronta la sua attuale situazione ma soprattutto mi ha stupito il fatto di non avere trovato di fronte a me una persona depressa e angosciata, al contrario Carl è una persona consapevole del proprio stato, delle proprie difficoltà ma anche delle proprie risorse e capacità e non ha perso la fiducia e la speranza

Credo sia consapevole che non può permettersi altro e che un atteggiamento depresso contribuirebbe solo a peggiorare la situazione (a parte un fisiologico calo dell’attivazione che permette di mettere in discussione un modo di lavorare abitudinario che non funziona più per trovare un nuovo equilibrio e sperimentare nuove strategie adattivo-lavorative).

Il tempo del nostro caffè è finito: ci stringiamo la mano e gli faccio un grande in bocca al lupo. Carl ritorna al suo angolo di strada con la sua fiducia e speranza nel futuro, io mi avvio verso il mio impegno arricchito da questo incontro con una realtà che vivo sempre come ingiusta e verso la quale ho scelto di dedicare gratuitamente parte del mio tempo professionale e delle mie competenze.

 

Gianpaolo Bocci

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