Il futuro: come ci percepiamo più in là nel tempo?
Il filosofo inglese Derek Parfit ha sposato una visione estremamente riduttiva dell’identità personale nel suo libro Reasons and Person: non esiste, almeno non nel modo in cui siamo abituati a considerarla. Noi esseri umani, secondo Parfit, non abbiamo una identità costante che si muove attraverso il tempo, ma una serie di aspetti concatenati, tangenzialmente collegati, ma distinti. Il ragazzo che inizia a fumare nonostante sappia che potrebbe subirne gli effetti per decenni non dovrebbe ssere giudicato pesantamente: “Il ragazzo non si identifica con il sé del futuro” scrive il filosofo ” Il suo atteggiamento verso il suo di futuro è in qualche modo lo stesso che rivolge agli altri”
Il punto di vista di Parfit è controverso, anche fra gli stessi filosi. Ma gli psicologi hanno cominciato a comprendere che si può descrivere con precisione il nostro atteggiamento nel processo decisionale: vediamo il nostro futuro come quello di un estraneo. Anche se inevitabilmente ne condividiamo il destino. Le persone che diventeremo in un decennio, in un quarto di secolo, o anche più, ci sono estranei. Questo limita la nostra abilità a compiere scelte giuste per le persone che diventeremo, anche se si tratta di noi. Le promesse e i buoni propositi per l’anno nuovo? Se vuoi sei definitivamente giustificato nel non rispettarle, è come se l’avesse fatta qualcun altro!
“A livello psicologico ed emotivo tendiamo davvero a considerare il nostro futuro come quello di un’altra persona – Hershfield“
Hershfield e i suoi colleghi hanno studiato le attività del cervello quando le persone immaginano il loro futuro e considerano il loro presente. Si sono concentrati su 2 aree del cervello chiamate corteccia prefrontale mediana e la corteccia cingolata anteriore. Hanno scoperto che queste aree erano fortemente attivate quando i soggetti pensavano a se stessi nel quotidiano. Il loro futuro era “sentito” come quello di “qualcun altro”. Infatti, la loro attività celebrale non subiva rilevanti modificazioni se descrivevano se stessi proiettati in avanti di 10 anni.
La ricerca sulla visione del futuro di Princeton
Emily Pronin, una psicologa di Princeton, arrivò ad una conclusione simile in una sua ricerca del 2008. La Pronin e il suo team dissero agli studenti che stavano prendendo parte ad una ricerca sul disgusto e che avrebbero dovuto bere un preparato fatto di ketchup e salsa di soia. Andava fatto nell’immediato, o a distanza di tempo. Gli studenti cui veniva detto di farlo subito riuscirono a bere 2 cucchiaini. Ma quelli cui era stato detto di farlo più avanti nel futuro si impegnarono a bere 1 tazza e mezza.
“ Noi pensiamo a noi stessi nel futuro come se pensasassimo a qualcun altro: in terza persona” – Pronin
La discrepanza fra noi nel presente e noi proiettati in avanti è strettamente legato al modo in cui prendiamo le decisioni. Possiamo scegliere di procrastinare e lasciare che l’altra versione di noi affronti problemi o questioni. O, come nel caso del ragazzo che fuma di Parfit, possiamo focalizzarci sulla versione di noi che sperimenta il piacere immediato, ignorando il prezzo che ne pagherà.
Ma se l’irresponsabilità e l’indugio derivano da una connessione debole verso la nostra immagine nel futuro, rinforzando la connessione è possibile porre rimedio, Questa è esattamente la tattica che alcuni ricercatori stanno adottando. Anna Wilson, una psicologa dell’Università Wilfrid Laurier in Canada, ha manipolato la percezione del tempo di alcune persone presentando una serie molto lunga di scadenze impegni, senza specificare se fossero vicini o lontani nel tempo. “Usare una timeline lunga fa si che le persone si sentano più vicine e connesse al loro futuro” dice Wilson. Questo è uno sprone a prendere decisioni ed evita lo stress dell’ultimo minuto.
L’utilizzo della tecnologia per rinforzare le connessioni fra il sé del presente e il sé del futuro.
Hershfield ha scelto un approccio più high-tech. Ispirato dall’uso delle immagini per stimolare le donazioni, lui e il suoi gruppo di ricerca ha messo un gruppo di persone in una stanza chiedendo loro di guardarsi allo specchio. I soggetti hanno quindi osservato se stessi nel presente ed alcuni di essi anche se stessi invecchiati attraverso un programma di morphing digitale. Usciti dalla stanza è stato chiesto loro come avrebbero speso 1000 dollari. I soggetti che avevano avuto l’opportunità di guardare se stessi invecchiati hanno riposto che avrebbero messo i soldi in banca con una proporzione doppia rispetto a quelli che si erano osservati così com’erano.
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Gli effetti di questa ricerca si sono riverberati anche nel mondo della finanza. Una compagnia Assicurativa ha affidato a Hershfield un progetto pilota rivolto agli occupati con lo scopo di riflettere sulla pensione, la Banca d’America ha creato un servizio che attraverso l’evoluzione di se stessi negli anni spinge a fare investimenti nel tempo.
Ma le applicazioni delle immagini del futuro di se stessi possono essere più ampie. La ricerca ora sta studiando se può essere utililizzata per le persone che vogliono perdere peso.
Certamente il modo in cui trattiamo il nostro futuro non è necessariamente negativo. Se pensare al nostro futuro equivale a pensare alla vita di un altra persona allora le nostre decisioni dipendono dal nostro modo di trattare gli altri. Se il bambino che inizia a fumare di Parfit non si preoccupa delle conseguenze per se (e quindi per l’altro) nel futuro, altri possono pensarla diversamente. “Noi facciamo continuamente sacrifici per gli altri” dice Hershfield, “nelle relazioni, nei matrimoni.” Il modo di non dissociarsi da se stessi nel futuro partirebbe quindi dal cominciare ad essere disposti versi gli altri.
Tratto e tradotto da Nautilus di Alisa Opar
Immagine: jarmoluk
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