Evento traumatico: scrivi ed elabora

Evento traumatico: scrivi ed elabora

Ne hai mai parlato del tuo evento traumatico? Ne hai mai scritto?

Questi sono due interrogativi che hanno spinto Cosiré a sviluppare un corso/laboratorio di autobiografia. Dietro di essi c’è quasi sempre un mondo, che siano eventi recenti o lontani comunque continuano a manifestare le proprie influenze sulle nostre vite.

La base di partenza è che l’evento traumatico, accade. La maggior parte delle volte accade senza che ci sia stata una  scelta, cogliendoci impreparati e con la chiarissima sensazione di aver vissuto un’ingiustizia.

Una delle principali caratteristiche di questo tipo di eventi è quella di destrutturare la nostra visione del mondo. Portano  discontinuità nella capacità di previsione circa la realtà che ci circonda  e al contempo una frattura a livello di personalità: ciò che prima risultava a noi familiare e prevedibile, immediatamente non lo è più. Un esempio che spiega cosa io intenda ce lo offre la cronaca recente:  si sono verificate a Roma una serie di aggressioni all’interno di parcheggi condominiali. Quella che è stata la routine per gli abitanti dei condomini, quindi prevedibile ed abitudinaria – torno dal lavoro, parcheggio l’auto e salgo a casa, il luogo che ritengo che mi protegga di più al mondo – all’improvviso si infrange perché qualcuno compie delle aggressioni. Questo è ciò che intendo per frattura relativa alla prevedibilità del mondo.

evento traumaticoQuali strategie attuiamo di fronte ad un evento traumatico?

Di fronte a questi accadimenti mettiamo in atto delle contromisure, adottiamo cioè delle strategie che ci permettano di superarli. Tali strategie sono più o meno adattive ma il risultato finale sarà apparentemente il medesimo: l’evento e i vissuti ad esso collegato si attenuano fino, alcune volte, a scomparire.

Nel processo di elaborazione dell’evento, pur nella differenza individuale, è possibile ravvisare tre stadi che procedono nel corso di 12-18 mesi di tempo:

  1. intensità: questa è la fase successiva all’evento, in cui c’è una attivazione molto forte delle emozioni e dei vissuti. Dura dai 4 ai 7 mesi;
  2. plateau: questa è una fase di relativa quiescenza, dopo la bufera dell’evento e i vissuti conseguenti, si arriva ad uno stadio in cui si tende ad avere un umore costante e diretto verso vissuti spiacevoli. Si continua a pensare a ciò che è accaduto, ma intervengono aspetti maggiormente razionali, con i quali si cerca di prendere le distanze dall’accaduto e  inserirlo nella propria storia dotandolo di un senso. (Si ragiona di più e si reagisce di meno). Dura all’incirca 1 anno.
  3. risoluzione: è la fase finale, quella in cui l’avvenimento, i vissuti, i motivi sono stati inseriti ed assimilati nella propria storia personale.
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Quali sono le vie che si presentano davanti ad un evento traumatico?

  1. Qualora vi fosse l’impossibilità o  scarse possibilità di parlarne e di esprimere le emozioni ad esso collegate, oltre ad una dilatazione dei tempi degli stadi di elaborazione, rischiamo di non arrivare mai allo stadio finale. L’avvenimento rimane distaccato da noi e dalla nostra storia, non lo possiamo accettare. Però ci è comunque accaduto e questo comporta un permanere del ricordo e del vissuto intatto ma alienato. E’ come se venisse confinato dietro qualche porta (mi viene in mente la favola di Barbablu) e lì rimane. Ma quando qualche altro evento o qualche persona troverà e inserirà casualmente la chiave, la porta lascerà entrare la luce nella stanza e questo metterà in mostra il mostro. A questo punto si riproporrà la prima fase, l’intensità. Cosa faremo? Forse ci diremo che è passato tanto, troppo tempo e che ora stiamo bene e che non vale la pena soffrire nuovamente per quel fatto, decretando così la nuova chiusura della porta.
  2.  Se abbiamo avuto modo di esprimerci in merito all’evento traumatico, per iscritto o in altra forma, è altamente probabile che riusciremo ad integrarlo nella nostra storia. Questo perché mettendo nero su bianco o narrando a qualcun’altro – per esempio in una psicoterapia – modifichiamo quell’evento, lo rappresentiamo guardandolo in modo differente e lo inseriamo nel racconto della nostra storia personale.

 

Qual è in termini pratici la differenza tra le due strade?

Sicuramente- molte ricerche sono state svolte in questo campo in USA, per questo vi rimando al libro in bibliografia- la più insidiosa è legata all’insorgenza di malattie psicosomatiche (cefalee, dolori, malattie della pelle, nausee) e al proprio senso di benessere. E’ stato infatti riscontrato un minor ricorso a visite mediche, conseguenti screening e  ricorso ai farmaci, da parte di chi aveva avuto l’opportunità di raccontare eventi e vissuti, rispetto  a chi ha narrato  gli eventi nel modo più razionale possibile –  tenendo quindi per se la tempesta emotiva- e a chi non li ha mai raccontati.

Gianpaolo Bocci

 

¹ James W. Pennebaker, Scrivi cosa ti dice il cuore. Autoriflessione e crescita personale attraverso la scrittura di sé, Erickson, 2004

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