Il Coaching va a scuola
Per iniziare un antipasto di alcuni dati riguardanti la scuola e l’università.
Nel nostro paese il tasso di abbandono degli studi universitari è stimato intorno al 60% (Cingano, Cipollone, 2007). Un sesto degli studenti lascia gli studi entro i primi tre anni e i sopravvissuti che arrivano alla laurea sono circa il 19%.
Stando alle valutazione fatte dall’INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), risultati similari si sono riscontrati anche nel corso degli studi di livello inferiore: scuola media inclusa.
Quali sono le motivazione di tale “studenticidio”?
Sono varie e sicuramente differenti per ogni (ex)studente, entrare in un ambito così specifico e soggettivo è complesso, ci limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale. In particolare tralasceremo gli aspetti più specificatamente relazionali e ci concentreremo sulle prove che in ogni suola sono presenti (interrogazioni, esami, valutazioni, compiti in classe).
Innanzitutto consideriamo l’aspetto connesso al vissuto emotivo che la situazione di esame genera. Appaiati in pole position troviamo l’ansia e lo stress, ospiti con i quali conviviamo giornalmente, ma che si fanno sempre più insistenti con l’avvicinarsi della data fatidica (a meno che non si tratti di una interrogazione a sorpresa, nei confronti della quali anche le arti divinatorie rischiano di fallire). Ci sono poi timori, paure e per qualcuno anche terrore, che a seconda dei precedenti successi o insuccessi, risultano essere più o meno forti.
Un ulteriore aspetto intrinseco alla situazione di esame è che, essendo una verifica fatta sulla comprensione dell’argomento da parte dello studente ed in ultima analisi sulle sue capacità, possano insorgere sensi di inadeguatezza, sfiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità.
Così da quella che potrebbe sembrare una‘semplice’ e ‘routinaria‘ situazione di esame, ad essere valutati risultano essere anche gli aspetti più personali quali: la modalità di studio, quella espositiva, il pensiero critico, la capacità di comprensione. E volendo scomodare qualche psicologo illustre potremmo anche considerarlo come un esame di realtà tra ‘l’io ideale e quello reale’, ossia tra come idealmente vorrei essere e come in realtà penso di essere.
E se trasportassimo tutto nel futuro dello studente: dalla scuola al mondo del lavoro?
Vedremmo come tutta una serie di caratteristiche, che entrano in gioco nel momento degli esami o delle varie prove a scuola, saranno di vitale importanza nel mondo del lavoro. Le soft skills (così sono chiamate nel ‘mondo dei grandi’), che prima non pensavamo nemmeno di possedere, iniziano ad essere richieste, apprezzate e spesso anche elicitate. La gestione dello stress, la capacità di sintesi, di organizzarsi il lavoro in vista di un obiettivo, di problem solving, gestione efficace del tempo, ecc., inizieranno ad essere il centro di percorsi di formazione.
Hai mai pensato che con il coaching potresti migliorare le tue prestazioni scolastiche?
E allora, se il coaching è efficacemente utilizzato nel mondo del lavoro e dello sport, perché non può trovare un adeguato utilizzo anche nella scuola?
I principi del coaching sono volti al raggiungimento di un obiettivo, qualsiasi esso sia. Partendo da una situazione di impasse (senza la quale probabilmente il numero di defezioni scolastiche non sarebbe così elevato), si mira a trovare le strade giuste e più funzionali o proficue per arrivare all’obiettivo.
Pensiamo ad un compito in classe, quello di matematica (che per rimembranze legate alla mia esperienza a scuola, risultava il più ostico agli studenti), come si può raggiungere un buon voto?
1. Si fa un piano di azione, valutando i passi da fare e i tempi necessari per il raggiungimento;
2. Si fissano delle tappe intermedie in cui valutare autonomamente e quantificare lo ‘stato dei lavori’;
3. Si arriva finalmente alla prova con una ridotta tensione emotiva, dovuta alla consapevolezza di aver fatto bene il proprio percorso.
Ciò che mi preme sottolineare è che coaching ha alla base un presupposto importantissimo: che la persona abbia in se le risorse per arrivare ad un determinato obiettivo, c’è però bisogno di farle riscoprire e potenziarle (proprio come si fa con i muscoli in vista di una prova atletica).
Gianpaolo Bocci
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