Pokemon Go tra divertimento e terapia: Gotta catch ’em all!
Possiamo dire che il tormentone di questa estate è stato Pokemon Go.
I pokemon sono «creature di varie forme e dimensioni che [in un mondo immaginario molto simile a quello vero] vivono nella natura insieme agli esseri umani. La maggior parte dei Pokémon non parla ed è in grado di pronunciare solo il proprio nome» – come riporta il sito a loro dedicato. Il nome “Pokémon” deriva dalle parole inglesi “pocket monsters”, mostri tascabili.
Pokemon Go è il nuovo gioco virtuale disponibile, in Italia da metà luglio, per smartphone. L’inventore è l’informatico giapponese Satoshi Tajiri ed è la replica del gioco per game boy uscito circa vent’anni fa insieme alla serie tv.
Il mio incontro con l’idilliaco o demoniaco gioco avviene attraverso Mirko, ragazzo appena diciottenne, che entra in terapia insieme al suo gioco e mi fa, simpaticamente, vedere come si gioca e cosa fa tanto divertire lui ed i suoi amici. Improvvisamente il gioco da virtuale diventa reale: e nello scenario del proprio salotto, ufficio, bagno, strada, scuola ed addirittura nel mio studio, si materializza un pokemon da catturare lanciando una palla (pokeball). Il gioco utilizzando telecamera e geolocalizzazione presenti sullo smartphone struttura uno scenario più che realistico in cui andare a caccia di animaletti.
Le società che sono dietro Pokemon Go (Nintendo) hanno aumentato il proprio valore, in pochi mesi, di nove miliardi di dollari!
L’obiettivo del gioco è catturare i 700 pokemon disponibili (inizialmente erano 151), ma Mirko mi spiega che dal 5° livello in poi si può scegliere una squadra con cui giocare tra rossa, blu e gialla (coraggio, saggezza e istinto) e gareggiare o conquistare palestre.
Nel corso del gioco si accumulano punti esperienza che fanno diventare più forti e bravi, ma occorre elaborare numerose strategie.
A questo punto chiedo a Mirko di decidere, insieme, se parlare di Pokemon go per l’intera seduta, valutandone vantaggi e svantaggi. Sollecitato, immediatamente, il ragazzo mi dice che è il caso di interrompere il gioco e che “lui e i suoi amici sono proprio impazziti per Pokemon Go, che sono tutti folli e dipendenti”. Mirko mi fa sorridere perché spesso pensa di essere dipendente da qualcosa.
Quando chiedo a Mirko cosa stanno facendo lui e i suoi amici in questa calda e lunga estate, mi risponde che si vedono tutte le sere per chiacchierare e bere birra, a volte vanno in piscina se non si svegliano troppo tardi, alcuni stanno facendo lezioni per la patente di guida, lui stesso sta provando a fare dei “lavoretti” in uno studio di architettura in attesa della riapertura dell’anno scolastico, oltre alle lezioni di guida. Poi, mi dice, che “ i casini” più grossi li fanno quando si innamorano… (con Mirko abbiamo affrontato ed evitato il rischio di una denuncia per stalking e la persecuzione di una minorenne, il recupero di un anno scolastico).
Non entro in merito alla storia personale e familiare di Mirko, alquanto drammatica. Vorrei che ci chiedessimo, da adulti, se i ragazzi che giocano a Pokemon go, con tanto entusiasmo e dedizione, e poi escono insieme, si innamorano, fanno sport e vanno a scuola hanno sviluppato una dipendenza o ossessione (su varie riviste si paventa l’ìdea che tutti i nostri ragazzi sono a rischio).
Certo Pokemon Go rapisce, si può diventare forti, furbi ed invincibili mentre nella vita quotidiana è complicato gestire un flirt, la relazione con l’amico più caro, il rapporto coi genitori.
Alcuni articoli di questa drammatica estate (per es. su huffpost), che ha visto il succedersi di vari eventi catastrofici da elaborare per le persone colpite e lo sforzo della collettività perché ciò possa avvenire, hanno demonizzato il gioco riecheggiando il termine dell’ossessione e della solitudine. Lo spazio a notizie di cronaca, quali le due adolescenti a caccia di Pokemon, sparate nel giardino di caso da un pensionato in Florida o l’assalto al Central Park di New York di centinaia di persone in cerca di uno dei pokemon più rari ed ambiti hanno giustificato la demonizzazione. Numerosi video visualizzati migliaia di volte in rete ci fanno vedere giovani con la testa immersi nel loro smartphone che calpestano animali ed anziani o vengono travolti da automobili mentre rincorrono Pikachu, Bulbasaur, Charmendea.
Qualche corrente di pensiero ha anche invocato un ipotetico complotto, dietro al gioco, con l’idea che Google e la CIA così ci spiano e fotografano le nostre case, strade, città, giardini, etc…
Vorrei che ci chiedessimo, sempre da adulti, se è possibile replicare quello che è accaduto nella mia seduta con Mirko, senza invocare démoni o fantasmi, e se questa non sia una responsabilità adulta.
E’ possibile che Mirko, ad un certo punto, si rende conto che deve oscurare il monitor del suo cellulare e riporlo in tasca e che un suo coetaneo non possa rendersi conto che deve oscurare lo stesso monitor mentre attraversa Abbey Road, le Champs Elysèes, la Fifth Avenue, Via Montenapoleone, Rodeo drive, Avenida 9 de Julio?
Elisa Pappacena
No Comments