Scrittura autobiografica: racconta la tua storia
Scrittura autobiografica: scrivere per leggere una storia diversa.
Le parole possono uscire dalla bocca di chi le pronuncia, molteplici ed innumerevoli, nel caos di un momento dopo l’altro. Esse possono perdersi nello stesso momento in cui il suono viene emesso o confondersi tra di loro. Gli attimi possono succedersi rapidamente tra loro, senza che si proferisca parola.
La scrittura è qualcosa di differente. La scrittura ha il potere di incidersi e restare, di mettere ordine, di definire un prima, durante e dopo, oppure un inizio e quindi una fine -un rigo dopo l’altro, una pagina dopo l’altra.
La scrittura ha il potere di essere riletta. Scrivere diventa un piacere( anche se spesso occorre essere stimolati, guidati, spinti), dapprima solitario poi condivisibile (il gruppo di autobiografia, gli amici, i lettori oppure solo il destinatario).
“Da millenni si scrive per sopportare il proprio caos mentale, per dargli un poco di ordine, per comunicare ad altri (reali o illusori) il proprio dramma; da secoli e secoli l’Io cosciente tenta di liberarsi dei suoi fantasmi gettandoli sulla carta per intrappolarli nella filigrana delle proprie cose scritte” – ( da Duccio Demetrio – La scrittura clinica – pag. 18 ).
L’autobiografia non è una scrittura qualsiasi, ma è scrivere di se stessi e della propria vita. E’ il nostro io che prende lo scettro del potere e decide come, perché, quando, cosa, con chi, raccontare la storia di se stessi.
Chi pensa che semplicemente facendo questo starà meglio potrebbe incontrare una cocente delusione.
Scrivere di se stessi non è una cura, una terapia, una psicoterapia. Certamente molti scrittori possono dire di essere stati salvati dalla letteratura, come molti musicisti dalla musica, e pittori dalle loro tele. Pensate come sarebbe stata la vita di Landolfi, costantemente dedito al gioco d’azzardo, senza la letteratura, quali altri impegni fascinosi lo avrebbero trattenuto dal perdere, del tutto, il controllo? Antonio Ligabue, estroso artista dalla vita randagia e disordinata ha trascorso diversi anni della sua vita in un ospedale psichiatrico e grazie alla creatività ha potuto esorcizzare i fantasmi della psiche, la fatica di vivere, il malessere esistenziale, come cura aggiuntiva alla medicina (cit. Sgarbi – mostra 2009 Arte, genio, follia). Senza le sue tele avrebbe perso un’ottima ancora a cui aggrapparsi. Ed in ultimo Ezio Bosso, il pianista che ha emozionato tutti gli spettatori del Festival di Sanremo quest’anno, ben 12 milioni, (cito lui: “la musica, come la vita, si fa solo insieme”). Cosa sarebbe la sua vita (tanto gloriosa quanto beffarda: tanto talento da essere uno dei più importanti compositori e direttori d’orchestra contemporanei e tanta sofferenza per una malattia autoimmune degenerativa a cui, pare, si sia unito un tumore al cervello) senza la sua musica ed il suo talento?
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Allora perché si scrive?
Si scrive per la vanità di atteggiarsi a scrittore? Forse, in parte. La scrittura è uno strumento che aiuta a capire meglio, a trovare il coraggio di rileggere una storia che nel momento stesso in cui viene scritta diventa differente, e poi ha la possibilità di essere raccontata.
Dice Roland Barthes, molto conosciuto per i ‘Frammenti di un discorso amoroso’ in cui inneggia all’abbraccio, sempre incestuoso, perché ha qualcosa di infantile e materno e qualcosa di carnale…“E che cosa è il racconto? Nel modo più elementare è un susseguirsi di un prima e di un poi, un misto inestricabile di temporalità e causalità.” In altre parole, la scrittura consente la narrazione.
A volte capita che ci si prende la mano. Il piacere di rileggersi, della narrazione, è più del piacere dello scrivere stesso. Ci si accorge che di racconti ne abbiamo tantissimi. Tutti mai raccontati.
Elisa Pappacena
PER APPROFONDIRE
Duccio Demetrio – La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali
Roland Barthes Frammenti di un discorso amoroso
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