Affrontare un colloquio di lavoro in Matrix

Affrontare un colloquio di lavoro in Matrix

“Affrontare un colloquio di lavoro” e Matrix insieme?

Eh già proprio oggi ho fatto questa associazione dopo un colloquio di selezione!

Ho presentato l’azienda, quello che fa e la sua mission, ho cercato di fornire più dati possibili  per permettere quello che dovrebbe essere lo scopo di un colloquio di selezione: conoscere il candidato per capire se può essere quello ideale a ricoprire il ruolo vacante e parallelamente far conoscere l’azienda per dare modo al candidato di capire se può essere un luogo in cui lavorare nel miglior modo possibile e sviluppare le sue competenze professionali e personali. Colloquio di selezione quindi a due vie, perché questo dovrebbe essere una doppia scelta, quella dell’azienda e quella del candidato. Perché, crisi o non crisi, questo credo sia l’unico modo in cui si possano avere vantaggi reciproci.

Quello che mi ha colpito maggiormente è stato la rigidità identificativa nel ruolo con cui il candidato ha scelto di affrontare un  colloquio di lavoro.

Cosa intendo?

Intendo dire che ho riscontrato (e non è l’unica situazione) una grande difficoltà ad immaginarsi come fautori e promotori del proprio io professionale e della possibile espandibilità di questo ruolo.

La parola d’ordine del mercato del lavoro oggi è  flessibilità.

Come affrontare un colloquio di lavoro?

Come si fa quindi ad affrontare un colloquio di lavoro senza considerare strade alternative al posto fisso statale o  a contratti a lungo termine in strutture private di rilievo?

Perché non tentare di allargare gli orizzonti tentando di autopromuoversi in ambito locale o tramite uno dei canali attraverso i quali i selezionatori cercano le informazioni sui candidati, cioè il web?

Vuoi provare un percorso di coaching?

Le competenze apprese nella carriera formativa e professionale possono essere spese anche fuori da quello che è (o meglio, che consideriamo) il loro sbocco naturale. Ecco un esempio:

Sono un odontotecnico in attesa di lavorare. Cosa faccio? Continuo ad inviare curriculum in attesa di un posto di lavoro o  inizio a pubblicizzare il mio nome e a farmi conoscere sul territorio sul quale vorrei operare, proponendo ad esempio dei seminari gratuiti nelle scuole sull’utilizzo dell’‘apparecchio per i denti’ così da poter affrontare un colloquio di lavoro con una esperienza che mostri spirito di iniziativa e voglia di fare? La risposta sembrerebbe scontata, ma in realtà molto spesso non lo è.

Una delle maggiori pecche  dell’istruzione italiana (per altri versi estremamente valida) è non preparare gli studenti alla necessità di fare marketing di se stessi (e rari sono i casi in cui vengono preparati ad affrontare un colloquio di lavoro).  Posso eccellere nel mio settore ma se nessuno lo sa il tempo spesso a prepararmi è stato inutile.

Il rischio (che mi par quasi un dato acclarato) è  creare una generazione di persone parcheggiate in attesa del lavoro,  per il quale hanno investito risorse (economiche, intellettive, personali), che ormai è quasi un’utopia. Ed intanto che si fa? Un lavoretto di tanto in tanto (spesso nemmeno lontanamente attinente a quello dei sogni), ma soprattutto  si butta via tempo alla propria preziosa vita, ad inseguire  qualcosa che  difficilmente può essere garantito.

Matrix e le varie realtà

Confrontandomi su come sarebbe più idoneo affrontare un colloquio di lavoro con un’altra esaminatrice, è venuto fuori un discorso interessante.

Innanzitutto quanta impreparazione ci sia nel fronteggiare il mondo del lavoro attuale. Questa impreparazione  ha la sua radice in una cultura che perpetua se stessa in molti ambiti ma principalmente in quelli che le persone sentono come più significativi:  scuola, famiglia,  amici e conoscenti.

E’ come se si fosse in Matrix!

Non so se tutti conoscono questo film. E’ una storia molto complessa, strutturata su più livelli di significato, che potrebbe quasi rappresentare un trattato di filosofia o psicologia. Matrix è la realtà che percepiamo, o meglio che siamo stati abituati a percepire: per noi è la normalità e non può essere diversa (così se sono alla ricerca del posto di lavoro fisso ecco che lo inseguirò e/o lo aspetterò finché non lo troverò/arriverà).  Ma chi comprende che la realtà è differente si rende conto che Matrix è solo una realtà fittizia (anche se in molti casi funzionale).

 

Per noi che facciamo coaching e soprattutto per me che sono uno psicologo, è frequente incontrare persone all’interno di Matrix (con le proprie frustrazioni, le proprie nevrosi, le proprie sofferenze, le proprie insoddisfazioni, di cui a volte non se ne comprende la genesi e la motivazione). Quello che fondamentalmente facciamo e far dare un occhiata alle persone al di fuori di Matrix, facendogli scoprire che esiste una realtà, un modo di vedersi e un modo di fare differente da quello in cui si è immersi. Modo di vedersi che spesso frustra le attitudini, i progetti delle persone, perché sono staticamente abituati a vedersi così (ciò vale anche in relazione all’immagine che gli altri ci rimandano di noi stessi), ma al contempo accompagnati da una sensazione di insoddisfazione, con la percezione che non  tutti i tasselli sono al proprio posto. La negazione di questa percezione può portare a esiti diversi, tutti a mio avviso alienanti da se stessi: una negazione che allontana le persone dai propri desideri, che le comprime nell’impossibilità di esprimersi nell’esperienza della loro unicità di persone.

E allora la domanda è:

Coaching?

Si, Grazie per tutti.

E’ rischioso partire, ma è un peccato non farlo!

Perché si potrebbe correre il rischio di rimanere seduti su una poltrona (assimilabile metaforicamente a quella che i coach chiamano zona di comfort) come spettatori davanti ad un televisore in cui qualcun altro trasmette il film (Matrix) della e sulla nostra vita.

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