Gioco Patologico e proibizionismo: è la strada giusta?
“Latina No Slot” è il movimento che ha organizzato un interessante incontro svoltosi a Latina il 15 Novembre 2013. L’occasione è stata la presentazione del libro ‘Slot City’ di Marco Dotti (redattore del mensile Communitas e di Vita, docente di Professioni dell’Editoria presso l’Università di Pavia), ma il tema di tutto l’incontro è stato il gioco patologico.
I relatori
Oltre a Marco Dotti sono stati:
Maurizio Antonelli Moderatore
Simone Feder Psicologo e coordinatore dell’Area Giovani e Dipendenze della comunità Casa del Giovane di Pavia,
Nicoletta Zuliani Consigliere Comunale di Latina,
Bruno Porcelli Psicologo e Psicoterapeuta dell’ASL Latina,
Massimo Passamonti Presidente di Confindustria Sistema Gioco Italia.
L’incontro.
L’incontro ha rappresentato un’interessante occasione di confronto tra i vari esponenti, provenienti da realtà differenti, Pavia e Latina realtà in cui il tema della ludopatia è molto sentito, ma soprattutto è stato interessante sentire i diversi approcci alla questione del gioco patologico.
Ciò su cui tutti convergevano è la necessità di interventi legislativi e regolamentazioni inerenti il gioco legalizzato, nonostante vi siano delle normative regionali, le quali tentano di limitare il fenomeno (alcune già approvate altre in via di risoluzione), non esiste ancora una normativa nazionale in grado di regolamentare il gioco.
Questo vuoto legislativo permette ad esempio, come ha puntualmente sottolineato Nicoletta Zuliani, che giovani senza preparazione specifica (e purtroppo con poche alternative lavorative), facciano richiesta al Comune per la concessione e l’apertura di luoghi di scommesse, che potrebbero diventare un facile luogo di aggregazione per i loro coetanei. Ed inoltre non limita la possibilità di installare slot in esercizi commerciali specifici, così è possibile trovarle ovunque, “anche all’interno di una lavanderia” (Cit. Passamonti)
Ciò che è chiaro a coloro che si occupano direttamente del fenomeno, dal punto di vista dell’intervento sulla patologia, è che il fenomeno è in continua crescita e porta con sé un incremento della sofferenza personale e familiare. La questione quindi non è solo del giocatore, ma del “grappolo di persone” (cit. Zulliani) che vivono con il dipendente patologico. Dato questo che risulta essere piuttosto allarmante.
Massimo Passamonti ha comunque sottolineato una totale assenza di dati statistici nazionali certi sulla realtà del gioco patologico. Ha inoltre riferito le cifre relative agli introiti provenienti dal gioco legale e ha giustamente sottolineato che legalizzare il gioco ha permesso di limitare l’intervento nel settore della criminalità.
Non mi sento di condividere però il parere dello stesso, né quando sottovaluta i costi della ricaduta sociale del gioco patologico, ossia i costi della cura. Né tantomeno quando usa la frase: “non è mica come un tossicodipendente che ha il costo del farmaco (metadone), gli dai la pillola e gli passa”. Ora pensare che un tossicodipendente si curi con una pillola (??) mi sembra fantasioso e privo di senso di realtà e francamente mi sembra estremamente semplicistico, come ha poi puntualizzato Bruno Porcelli, non equiparare la dipendenza da sostanze alla dipendenza da gioco.
Le nostre riflessioni sul fenomeno del Gioco Patologico.
Le mie considerazioni e quelle di chi collabora con Coaching&Dipendenze sono:
– Non esiste una casistica nazionale sul gioco patologico, ma è pur vero che tale casistica sarebbe comunque parziale, come lo sono quelle dei dipendenti da sostanze, infatti a fronte di tot persone che accedono ai servizi pubblici, quante sono invece quelle (comprese le loro famiglie) vivono il dramma nell’anonimato? Quanti sono quelli che per pudore, per vergogna, per paura di essere etichettati non si rivolgono alle strutture pubbliche? Inoltre quanti sono quelli che sanno che al D.S.M. o al Ser.T. (proprio quelli dei tossicodipendenti) c’è un servizio del genere?
– Legato alla casistica, c’è anche il tema della ricaduta sociale. Non è sempre possibile monetizzare e inserire in un bilancio il dramma esistenziale delle persone. La ricaduta sulla società, rispetto alla questione del gioco patologico, oltre a dei fattori che riesci a contestualizzare nel breve termine, porta con se uno strascico lungo anni. Pensiamo ad esempio a quale può essere il futuro di un figlio che vive all’interno di un contesto patologico, il costo della mancata cura di un padre che ripercussioni per la società potrà avere rispetto al figlio? Mi sembra impossibile quantificarlo. E inoltre come monetizzare la scelta silenziosa di chi decide di ‘farla finita’?
– Altra considerazione è sulla questione legale-illegale. E’ indubbio che l’unico modo di combattere il gioco d’azzardo illegale è la legalizzazione (pensiamo al fallimento del proibizionismo in America, o ai lauti guadagni che fanno le associazioni mafioso-camorristiche intorno allo spaccio di sostanze stupefacenti) è però una legalizzazione che non deve sostituire lo stato alle cosche nei guadagni indiscriminati, ma una legalizzazione che deve avere alle spalle un progetto di riduzione dei rischi strutturato e volto a limitare i danni del gioco patologico (come si può pensare che possano bastare 250 metri da una scuola per risolvere il problema di non far giocare gli adolescenti?).
– Non è neppure plausibile l’idea di portare avanti una crociata contro le slot a tutti i costi, quando tutti i giocatori possono riversarsi con estrema facilità nel gioco online (tra l’altro con una netta diminuzione dei freni socio-inibitori. E si perché il giocare online rende la sensazione di star sperperando denaro ancora più lontana, più distante, in fondo non devo tirar fuori materialmente le banconote dal portafoglio, con la mia carta di credito posso tutto!).
Cosa fare?
Urge un lavoro di rete che metta da parte i dualismi pubblico-privato e interesse economico-salute, e che vada ad affrontare in modo capillare e specifico l’argomento. E ancora più urgente a mio parere sarebbe la strutturazione di progetti e di interventi ‘educativi’ che vadano a sensibilizzare e quindi a creare un minimo di filtro negli istituti scolastici. Perché, proprio come ha sottolineato Marco Dotti, l’introduzione delle slot nei contesti di aggregazione sta cambiando il tessuto sociale e il sistema di relazioni.
Quanti di voi si sono accorti delle slot presenti anche nei centri commerciali? Magari vicino ai cavallucci e alle macchinine che piacciono tanto ai vostri bimbi? Quanti si sono accorti delle magnifiche lucette e dei suoni (e quindi la loro forte attrattiva nei confronti dei più piccoli) che queste slot hanno (Simone Feder nel suo intervento parlava anche di uno studio che stanno portando avanti sul confronti di questi suoni).
In sintesi l’approccio che ci sembra più costruttivo è si quello di spingere ad una normatizzazione della questione, ma soprattutto di lavorare sul tessuto sociale, fornendo gli strumenti necessari per “difendersi” dal rischio di cadere nella trappola della dipendenza e del gioco patologico. Quindi un intervento “culturale” all’interno delle scuole, o dei luoghi di aggregazione.
Inoltre, e su questo convergiamo con il DSM di Latina, occorre lavorare sulla restituzione del potere al giocatore di controllare la dipendenza e soprattutto sulla responsabilità individuale.
Gianpaolo Bocci.
Di seguito potete trovare i link informativi dell’evento sul gioco patologico:
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