Il Gioco Può Causare Dipendenza
“Il Gioco Può Causare Dipendenza Patologica”, questo è l’avviso che si riceve a termine delle pubblicità sul gioco online.
A me è capitato di rifletterci poco tempo fa, quando, guardando una partita sono stato letteralmente sommerso da tutta una serie di pubblicità sul gioco e sulle scommesse online.
Non entro nel merito dell’annuncio, della sua strutturazione o della frequenza di trasmissione in un singolo intervallo (anche se quest’ultima è decisamente alta), vorrei invece fare un piccolo ragionamento: se è riconosciuto il fatto che il gioco può causare dipendenza patologica, allora è corretto dire che anche altri ‘oggetti’ o comportamenti possono provocarla.
Il gioco è, quindi, in buona compagnia: lavoro; internet; shopping; sesso; cibo. Anche queste rientrano nella definizione di ‘dipendenze comportamentali’ (o dipendenze sine substantia), ossia quelle dipendenze alle quali non è associato un agente chimico.
Estendendo il ragionamento agli ‘oggetti’, dobbiamo aggiungere il tabacco, l’alcool, i farmaci. In queste ultime rientra l’agente (o agenti chimici) che le differenzia dalle prime.
Le dipendenze cui ho accennato ora rientrano in quelle che possiamo definire ‘pulite’.
Cosa intendo?
uelle che sono state ‘ripulite’ con un bel lifting dalle leggi vigenti o che risultano essere socialmente accettate.
Prendiamo in considerazione la dipendenza da tabacco: le scritte (orrorifiche, ma che ormai nessun fumatore nota più, perché abituato alla loro esistenza) sul pacchetto di sigarette garantiscono una giustificazione alla sua vendita (con tanto di bollo del Monopolio di Stato).
Nel caso dell’alcool (superalcolici, vini, birre, ecc.) non vi è neppure un’avvertemento sui rischi correlati (anche se ora su qualche bottiglia si trova il simbolo che indica il rischio per l’utilizzo in gravidanza), ma qui il lifting è garantito dalla cultura, che regola il comportamento del bere. Nel caso dei rischi correlati all’assunzione di farmaci il lifting è compiuto dal loro principio curativo (oltreché dal bugiardino) ed esiste un filtro maggiore esercitato dai medici.
Mettiamoci ora un’abbigliamento consono (c’è chi vorrà usare mascherine, chi i guanti, chi un’intera tuta protettiva a voi la scelta, dipende solo da quanto siete schizzinosi e da quanto siete stati contagiati dalla cultura dominante, che ha fatto degli assuntori di tali sostanze degli esseri schifosi e dei mostri) e addentriamoci nelle dipendenze ‘sporche’… ma sì un po’ di fango (che sia solo quello però!) ce lo togliamo facilmente di dosso!
Da molti anni ormai le sostanze psicotrope sono state bandite diventando illegali (e a volte anche un po’ maligne e diaboliche) e hanno attirato su di loro tutta una serie di vissuti negativi, che a torto o a ragione, le hanno rese ‘sporche’.
Ma anche queste sono dipendenze patologiche. Ciò che cambia è l’oggetto e i vissuti associati alla loro assunzione (si sta comunque facendo qualcosa di illegale). Da un punto di vista di classificazione sono quindi sullo stesso piano delle altre.
Vorrei qui segnalare un paragrafo del libro¹ scritto dal Dottor Maurizio Coletti²:
“Perché, terminata la fase di esplorazione, molti soggetti restano agganciati all’uso e all’abuso di droghe? Si possono individuare due diverse ragioni. La prima è relativa alle caratteristiche di alcune sostanze e ai loro effetti sull’organismo…. la seconda ragione è implicita negli effetti delle sostanze: obnubilamento, stordimento, ecitazione, calma assoluta, stati alterati di coscienza. Molti soggetti dopo la fase esplorativa cercano proprio questi effetti. È quella che si chiama ‘autoterapia’: il tentativo di placare angosce e problemi profondi che spesso non si riesce a padroneggiare, oppure una ricerca estrema di essere vigili, di dedicarsi a determinate attività in continuazione e sempre con la stessa energia e forze iniziali. Se si cercano, se si ha bisogno di questi effetti, alcune sostanze sono una soluzione (temporaneamente fino all’arrivo delle conseguenze negative, prime fra tutte quelle sanitarie) valida e facile da ottenere. Insomma una spinta interiore, a volte un disagio che fanno crescere la voglia e il desiderio di determinati stati d’animo o, anche, di evitare sensazioni ed emozioni sgradevoli e opprimenti”.
Le differenze sostanziali risiedono nei danni diretti (di natura sanitaria) provocati al dipendente, ma non di certo in quelli che vengono definiti ‘secondari’. Perché allora il tossicodipendente è socialmente identificato come colui che ruba la collanina o l’anello d’oro in casa (semplificando ovviamente) e invece il dipendente da shopping no?
Le dipendenze (tutte) comportano inevitabilmente dei danni diretti e dei danni correlati e non è detto che le dipendenze da sostanze illegali comportino danni più onerosi.
Ripensando alla mia esperienza professionale ed alle persone che ho seguito in comunità e altrove, le crisi di astinenza più difficili da superare (e che spesso portavano all’interruzione dei programmi terapeutici) sono state quelle da psicofarmaci; tra le situazioni che ho visto con danni indiretti più gravi alcune erano legate al gioco d’azzardo patologico: creditori alle porte, strozzini sotto casa, beni e soldi scomparsi dalle abitazioni, intere famiglie completamente distrutte e trascinate nel baratro, tentativi di suicidio!
Ma poi alla fine bastano due belle lucette e uno spot invitante a ripulire tutto… basta dare un piccolo avvertimento, così poi la responsabilità sarà esclusivamente del giocatore!
Ed il paradosso, ritornando al messaggio iniziale “Il gioco può provocare dipendenza patologica”, è che la responsabilità di chi gioca, spende molto in scarpe, passa molto tempo su internet, mangia senza controllo, è relativa: la consapevolezza e la capacità di comprendere che si è diventati dipendenti arriva solo nel momento in cui la compromissione delle relazioni, delle finanze e della salute ormai è manifesta. Pertanto a quale senso di responsabilità si appella in messaggio?
Tirando le somme:
- tutte le dipendenze sono patologiche
- tutte le dipendenze comportano danni diretti e correlati
- tutte le dipendenze non rispondono ad appelli e messaggi che invochino la “responsabilità”
Ma allora, vi domando, perché secondo voi lo Stato non prende in mano il controllo delle sostanze stupefacenti? Perchè non interviene sensatamente attraverso una serie di misure che siano meno “giudiziarie” e più indirizzate a contenerne gli effetti e a trattarle come sintomo di un disagio più grande?
Gianpaolo Bocci
¹2008, Maurizio Coletti, “Come faccio a sapere se mio figlio si droga? Manualetto per genitori preoccupati”Ed. Antigone
² Chi è: Maurizio Coletti, psicologo, psicoterapeuta, presidente di Itaca Europa, Associazione Europea degli Operatori Professionali delle Tossicodipendenze, Presidente scuola di specializzazione IEFCoS.
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